Il veganesimo

Nell’editoriale di oggi affronteremo il tema del cibo, più specificatamente quello della dieta vegana. Il veganesimo, infatti, non è solo una scelta alimentare, ma un vero e proprio stile di vita che ha visto una crescente diffusione negli ultimi anni.
Secondo l’enciclopedia Treccani il veganesimo è una “concezione dietetica che rappresenta la forma più radicale del vegetarianismo, escludendo dall’alimentazione umana qualsiasi alimento di provenienza animale e consentendo solo l’uso di alimenti vegetali.”

L’alimentazione vegana nasce nel 1944 quando due membri della Vegetarian Society, Donald Watson e Elsie Shrigley formarono un gruppo con altri che avevano deciso di non consumare nessun prodotto di origine animale.
La storia del veganesimo inizia così, con la nascita della Vegan Society il primo novembre 1944, data in cui oggi si festeggia la Giornata Mondiale Vegana. Il termine Vegan è stato coniato da Watson come contrazione di Vegetarian.
Il veganismo riguarda non solo l’alimentazione ma anche l’etica, che si riflette in una presa di posizione verso coloro che si oppongono allo sfruttamento e ad altri tipi di maltrattamento verso gli animali. Ciò include atti diretti come caccia o pesca e anche le scelte in qualità di consumatori. Infatti, a causa dell’elevata domanda di prodotti, gli animali vengono regolarmente allevati e uccisi in fattorie e macelli. Essere vegani dunque significa non consumare questi alimenti in protesta a un sistema che sfrutta gli animali, rispettando tutti gli esseri senzienti.

La maggior parte di coloro che si definisce vegano segue principalmente la sola dieta vegetale. Meno numerosi sono i vegani che modificano il proprio comportamento anche in altri ambiti di consumo, come per esempio scegliendo capi di abbigliamento in fibre vegetali sintetiche e artificiali o acquistando esclusivamente prodotti vegani.
Esistono inoltre varie tipologie di diete vegane: quella base è la dieta latto-ovo-vegetariana, che esclude, oltre a carne e pesce, anche uova e i derivati del latte. Altre varianti di questa dieta sono la dieta ovo-vegetariana, che esclude latte e derivati ma non uova, e latto-vegetariana, che esclude uova ma non latte e derivati.
Esistono poi diete con maggiori restrizioni quali le diete crudiste, dove sono ammessi solo alimenti vegetali non sottoposti a trattamenti termici ma è ammessa l’essiccazione; la dieta del raccoglitore, che prevede solo il consumo di ciò che è caduto naturalmente dall’albero o dalla pianta; le diete fruttariane, in cui sono ammesse frutta fresca e secca, e ortaggi da frutto e frutta grassa.
Tutte queste diete per le loro caratteristiche di esclusività e rigidità sono chiaramente incompatibili con un’alimentazione classica e possono portare ad alcuni rischi.

Innanzitutto, la mancata assunzione di proteine animali espone alla diminuzione di vitamina B12, fondamentale per lo sviluppo del sistema nervoso centrale. Va notato, tuttavia, che anche le carni provenienti da allevamenti intensivi possono presentare una carenza di vitamina B12, la quale viene somministrata agli animali negli allevamenti quando non riescono a produrla. Ciò rende necessaria un’attenzione particolare alla dieta e, in alcuni casi, l’uso di integratori, anche per chi consuma carne. Inoltre, nella dieta vegana sono state dimostrate carenze di numerosi micronutrienti, quali ferro, zinco, calcio e vitamina A.
Questo è un problema soprattutto nel caso di alcune categorie di persone più fragili, come i bambini. Infatti, se sottoposti ad una dieta vegana, possono avere una carenza di apporto calorico, che è dato soprattutto dalle proteine animali e risentirne nello sviluppo.
La dieta vegana prevede anche il frequente utilizzo di varie tipologie di latte vegetale in sostituzione del latte vaccino e dei suoi derivati. A tale proposito, ad Agosto 2020 il NASPGHAN ha pubblicato un paper proprio sui “latti di origine vegetale”, nel quale si afferma che la maggior parte di queste bevande vegetali non presentano un adeguato equilibrio nutrizionale se comparati con il latte vaccino. Quest’ultimo, infatti, rappresenta una fonte di importanti nutrienti, quali proteine ad alto valore biologico e minerali importantissimi come il calcio, lo zinco e le vitamine del gruppo B.
L’Eurispes ha condotto un’indagine sulla popolazione italiana, rivelando le abitudini alimentari di onnivori, vegetariani e vegani. Il 7,2% degli italiani si identifica come vegetariano, mentre il 2,3% come vegano.
Un dato significativo di questa ricerca è che, tra il 2014 e il 2024, la percentuale di vegani è quadruplicata.
Con l’avvento dei social, infatti, sono presenti numerose pagine che si occupano di divulgare il veganesimo. Questo è possibile grazie anche a influencer come Cucina botanica, pseudonimo di Carlotta Perego, la quale dal 2018 condivide lo stile di vita vegano attraverso video ricette su youtube, offrendo anche corsi di cucina vegetale.
Alcuni alimenti nutritivi e ricorrenti nelle diete vegane, come la quinoa, hanno avuto una richiesta molto elevata da parte dei paesi occidentali, proprio grazie a questo aumento di interesse verso il veganesimo.
Per soddisfare questa domanda, nei paesi più poveri dove questi alimenti sono coltivati si è avuta una diffusione capillare di monocolture. In Bolivia, ad esempio, gli agricoltori sono stati costretti a cambiare la loro dieta, perché la quinoa è diventata troppo preziosa per essere consumata localmente. Viene quasi interamente venduta o scambiata per Coca-Cola, dolciumi industriali e altri prodotti della dieta occidentale. La situazione è così grave da aver creato un inedito banditismo locale, che lotta per la conquista di terreni coltivabili.
Tale scenario non solo mette in luce le problematiche legate alla crescente domanda globale di alimenti specifici, ma evidenzia anche le gravi conseguenze socio-economiche e culturali che derivano da una trasformazione radicale delle pratiche agricole tradizionali.

È fondamentale considerare anche l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi di animali. Questi allevamenti sono noti per il loro elevato consumo di risorse, l’emissione significativa di gas serra e la produzione di grandi quantità di rifiuti che inquinano il suolo e le acque. Se si confrontano i dati, l’allevamento intensivo di animali risulta essere generalmente più deleterio per l’ambiente rispetto alle monocolture, che, sebbene non siano del tutto sostenibili, tendono a richiedere meno risorse e a emettere meno gas serra per unità di cibo prodotto. Gli allevamenti intensivi sono responsabili di una considerevole quantità di emissioni di gas serra, deforestazione e consumo di acqua. Secondo la FAO, l’organizzazione delle nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura, il settore zootecnico è responsabile del 14,5% delle emissioni globali di gas serra. Entrambe le pratiche, però, hanno impatti negativi significativi e richiedono una gestione attenta e sostenibile per minimizzare i danni ambientali.
La scelta vegana dunque rappresenta un fenomeno complesso e multidimensionale, che va oltre la semplice alimentazione per abbracciare aspetti etici, salutistici e ambientali. Tuttavia, è importante essere consapevoli dei potenziali rischi e delle sfide che essa comporta, soprattutto dal punto di vista nutrizionale e delle implicazioni globali delle scelte alimentari.